mercoledì 27 giugno 2007

L'idea e la sua forma

Ho apprezzato da sempre il lavoro di architetti d’avanguardia come Gehry, Hadid cui molti di noi studenti guardano con estrema ammirazione (forse anche esagerando a volte) e oggi mi trovo a guardare sotto una luce diversa le loro opere.
Mi chiedo se le forme plastiche, eccentriche, potentemente impressionanti siano la caratteristica unica delle strutture del Guggeneim, del MAXXI e di molti altri progetti che catturano l’attenzione e sgomentano l’osservatore.
Forse no, forse non è l’unica caratteristica .. e forse siamo noi giovani studenti di Architettura a non saperne cogliere appieno le altre .. in ogni caso voglio ragionare su alcuni punti che mi sembrano importanti e che, da un pò, ho in mente.
Trovandomi a progettare uno spazio per questa Expo-Conference e avendo dunque perfettamente chiara la funzione dell’edificio, mi sono chiesta se la forma e la destinazione d’uso fossero intimamente legate tra loro .. la risposta è ovvia .. certo che si.
“Ha scoperto l’acqua” molti potrebbero pensare, ma per me è stata invece una enorme svolta.
Io ho frequentato un Liceo Artistico Sperimentale e tra le mie materie degli ultimi anni avevo anche Progettazione Architettonica (avendolo scelto come indirizzo)..il fatto è che "fare un progetto" mi sembrava un gioco molto semplice allora.
Prendevo uno spunto (magari il disegno 3d di una cupola a base ovale stampato su una rivista che mostrava come il computer stesse divenendo mezzo fondamentale del fare architettonico) e decidevo che quella sarebbe stata “la mia forma”.. il gioco era semplice ..guardi un volume o un immagine o pensi ad un numero (magari composto da diverse cifre) e lo ridisegni semplicemente .. pensi alla pianta.. pensi all’alzato .. infine ..ci “butti dentro la funzione” cercando di rispettare sempre la quantità di metri quadri a disposizione e usando un po’ di logica ..
L’importante era dare all’edificio un’immagine esteriore che “facesse effetto” .. qualcosa anche di stravagante .. “il contenitore vinceva sul contenuto” come direbbe il nostro professore ..
E invece no .. oggi so che non è così .. la forma non è fine a se stessa, deriva e DEVE derivare, a parer mio, da una questione pratica: cosa metto dentro ad essa? Una chiesa? Una mensa? Serve per un museo?
Oggi diremo.. quale è la “funzione” che deve assolvere?
In aula abbiamo definito quello che in architettura chiamiamo “funzioni” mediante la parola “processi”.. processi perché parlano del movimento, del vivere, come l’uomo che circola all’interno di una chiesa, di una mensa, di un museo o che dall’uno passa all’altro..
Noi abbiamo iniziato il nostro progetto proprio chiedendoci quale potesse essere la destinazione d’uso più “giusta”, o meglio, motivata .. e abbiamo studiato quindi questi “processi”.. allora la funzione ha una grande importanza!
Al centro c’è l’uomo e la sua necessità primaria.. il VIVERE .. vivere liberamente lo spazio muovendosi, spostandosi, appropriandosi dello spazio stesso anche stando semplicemente seduto ma comunque relazionandosi a ciò che lo circonda.
“Processi” perchè, una volta innescati, hanno la capacità di mutare nel tempo come mutano di continuo le azioni compiute dall’uomo nell’arco anche di poche ore.
Ecco che la funzione assume un ruolo fondamentale in Architettura.
Ecco perché oggi, a noi studenti, viene insegnato quel concetto tanto importante di FLESSIBILITA’ DEGLI SPAZI .. più uno spazio permette “l’intercambiabilità” delle funzioni e più ha connotazione flessibile..
Questa può rappresentare un magnifico scopo nella progettazione architettonica ma forse siamo ancora un gradino sotto.. forse lo scopo principe è in realtà CREARE SPAZIO PER L’UOMO, spazio che si adegui all’uomo, spazio che deriva dalle intime necessità che una qualunque funzione dell’uomo ha già di per sé, spazio che vuole lui stesso dirci come ha bisogno di essere..
L’architetto, seguendo ragionamenti logici fondati sul ricercare comfort (nel senso più ampio del termine) per l’uomo, può giungere a realizzare ciò che lo spazio stesso vuole essere.
E’ una cosa forte, probabilmente esagerata, ma con ciò non intendo dire che esista un'unica forma per la chiesa o per la mensa o per il museo, intendo dire che esiste un unico modo di procedere sensato e consapevole .. da qui nasce , immediatamente dopo, il gioco dell’inventiva, dell’estro, della infinita varietà di composizione formale, materica, coloristica..
L’architetto non è disegnatore di forme (come inconsciamente pensavo al liceo), l’architetto è colui che sa tradurre graficamente le soluzioni alle difficili richieste di uno spazio concretamente e intimamente legato ai “processi umani”.

Quindi, perchè costruire un imponente edificio fatto in modo tale da permettere al suo interno il susseguirsi negli anni di 3-4-5 funzioni (tra loro simili o completamente differenti) se poi chi ne usufruisce non ne nota altro che la sua “contemporaneità estetica” molto spesso non compresa nella sua genialità?
Perché realizzare un edificio che stupisca per la sua immagine prepotentemente innovativa se chi lo abita non trova riscontro nei materiali, nei colori, nelle forme pur riconoscendone la potenza espressiva di un’architettura nuova?
Quanti, pur non amando/comprendendo l’architettura di oggi, sono in grado di fornire all’architetto spunti, direttive per una progettazione mirata, proprio perchè uomini dotati di sensazioni e fisicità!
Io non credo assolutamente che queste strade progettuali appena spiegate siano discutibili oppure che siano errate ma sto pensando che, probabilmente, esiste qualcosa di più completo che in qualche modo va aldilà di esse e allo stesso tempo le ingloba.
Voglio spiegarmi meglio: nel riportare “in bella” (sulla pianta) la mia idea progettuale, mi sono accorta di dovermi fermare, per un attimo, e di dover guardare quella pianta immaginando contemporaneamente la sua “evoluzione” in alzato..
E’ questo perchè? Perché avevo bisogno di vedere, già nella mia mente, cosa un possibile osservatore avrebbe visto da fuori, dalla strada, guardando una Expo-Conference come questa.
Dovevo immaginare la volumetria..i materiali.. insomma ciò che sarebbe stato ..
“Cosa penserebbe un passante?”
Io il mio schizzo colorato lo avevo già.. ma come dovevo fare per far “combaciare” disegno e realtà, una realtà che stavo cercando di immaginare?
“Come posso dare al passante la stessa sensazione che ho io quando guardo quello schizzo su carta che, a vederlo così, ha un certo grado di sobrietà estetica?”
Certo, se avessi avuto qualche avanzato programma di computer avrei fatto meno fatica in questo lavoro immaginativo .. ricordo che quando ho iniziato a fare i miei primi modelli al computer (anni fa) mi sono stupita moltissimo nel vedere che era possibile progettare direttamente in tre dimensioni .. per me che conoscevo solo il foglio di carta è stato come realizzare che esiste un altro mondo .. altre strade ..

Concludendo: il mio osservatore è il destinatario, non posso ignorarlo.
Come non lo ho ignorato pensando a “funzioni” rivolte alla cultura, all’ascolto, alla visione, ho cercato di non ignorarlo pensando a una morfologia, a dei volumi, a degli spazi, derivati soprattutto da ragioni funzionali, acustiche, visuali…
Le due cose sono saldamente collegate tra loro.. a mio parere sono inscindibili.


Per inciso.
Qualcuno mi ha detto, parlando delle mie difficoltà nell’affrontare temi del genere, “bhè, infondo non devi dimostrare bravura a tutti i costi” .. come se il problema ben più importante non fosse ragionare coscienziosamente su questioni che un giorno potranno essere il nostro “pane quotidiano” .. non credo che la questione sia dimostrare qualcosa, non credo che sia il "punto di arrivo" la vera meta .. ma credo che l’impegno, il credere in un idea, il lavorarci sopra, sia la cosa davvero importante oltre che la più interessante e stimolante .. anche perché il risultato non è mai garantito in partenza...

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